“Il fiocco di neve non si sente mai responsabile per la valanga”: con questa affermazione sulla responsabilità mi trovo a parlare di un tema importante e cruciale nella vita quotidiana di ognuno.
L’argomento delle abitudini di azione in rete ed in particolar modo nei social è bollente ed assai scottante a tutte le età. L’inconsapevolezza e l’incoscienza di ciò che si può fare e generare con un commento postato in rete o con una foto propria o altrui pubblicata stanno alla base di numerosi problemi, a volte banali, molte altre estremamente rilevanti.
Entrano in gioco privacy e rispetto altrui, presa di consapevolezza e responsabilità, senso del pudore, giustizia sommaria e collettiva scatenata dietro ad un monitor attraverso una tastiera.
Si è iniziato a parlare di “leoni da tastiera”, di haters ossia gli odiatori del web.
I fatti di cronaca ne sono pieni: vengono colpiti personaggi dello spettacolo ma anche persone meno note, perché hanno espresso il loro punto di vista o, molto più semplicemente, perché esprimono i loro stati d’animo o anche solo un abito, come è accaduto di recente alla cantante e conduttrice tv Loretta Goggi per un look pubblicato (ed evidentemente non ben accolto da qualcuno).
Un libro per riflettere
Riflessioni che nascono spontanee dalla lettura del libro “I giustizieri della rete” di Jon Ronson, pubblicato nel 2015 e tuttora valido, pienamente calato nel quotidiano 2021.
Dopo averlo letto alcuni anni fa, lo ho ora ripreso spinta da una duplice volontà:
- da una parte approfondire alcuni temi trattati nel testo che, nel tempo, mi si sono riproposti in altri libri, non collegati al mondo informatico
- dall’altra parte, dare una rilettura al testo con gli occhi diversi.
Porsi davanti ad una tastiera e digitare un testo, parlare con le persone via internet, in chat o attraverso i social network dovrebbe essere un’attività che rispecchia il proprio io: i nostri toni di voce, le nostre gentilezze ed ogni tanto anche le nostre asperità (se proprio necessario).
Ad alcuni il filtro rappresentato dallo strumento informatico-digitale toglie il senso di pudore, distrugge il senso della responsabilità da impiegare nella comunicazione, disperde le limitazioni tipiche della “non confidenza” con le persone. Ciò che ne esce è una distorsione completa tra emittente e ricevente della comunicazione, la perdita del fatto che non sappiamo chi e come verranno lette le parole, la perdita della consapevolezza di ciò che diciamo.
Come comunicare e cosa comunicare
Il secondo principio enunciato nella «Pragmatica della comunicazione umana» di P.Watzlawick ci ricorda che “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione, in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta-comunicazione”.
In definitiva il come noi comunichiamo definisce anche l’importanza del contenuto che trasmettiamo.
Non prestare attenzione al come ed al cosa porta ad una sorta di delirio.
Difficilmente nel mondo al di fuori del virtuale il processo avverrebbe nello stesso modo.
Porsi delle domande prima di agire è impegno personale da parte di ognuno.
- Quale “tono” sto usando per scrivere questo testo?
- Se mi trovassi dinanzi a questa persona, mi rivolgerei allo stesso modo?
- Come reagirei se mi scrivessero nei social così come sto componendo io il testo?
- Cosa voglio ottenere da un messaggio mandato in questo modo?
- Chi è il vero destinatario della mia comunicazione
Il risultato sarà immediato: la comunicazione ne esce completamente trasformata.
Un passaggio che ho trovato estremamente interessante all’interno del libro è il seguente
“Il modo in cui costruiamo la nostra coscienza consiste nel raccontare a noi stessi la storia di noi stessi, la storia di chi crediamo di essere. Ritengo che la vera vergogna o una pubblica umiliazione siano un conflitto tra la persona che cerca di scrivere la propria storia e la società che tenta di scriverne una diversa per quella persona.”
Le parole aprono il mondo, ma possono anche chiuderlo
Le parole hanno un peso fondamentale: quando sono irrispettose, aggressive, sbagliate, offensive, ferenti possono provocare dolori profondi, minare l’autostima e danneggiare un’esistenza.
I silenzi, che sovente parlano più delle parole, permettono di prendere tempo per meditare ed evitare il procurare ferite, a noi stessi ed agli altri..
Fermarsi e riflettere su chi siamo e cosa vogliamo ottenere con le nostre parole è il primo passo per affrontare ogni azione.