Qual è la più grande aspirazione nella vita di ogni essere umano?
Sinceramente non penso esista una sola risposta per raccogliere tutti i desideri della popolazione della terra: avere un obiettivo ed attuare un cambiamento sono gli elementi base per dare senso alla vita.
Il mio sentire, le persone con le quali mi confronto, i libri che leggo, i corsi a cui prendo parte e quelli che tengo mi hanno fatto maturare il pensiero che, in realtà l’essere umano desidera vivere felicemente. Tutte le azioni che compiamo nella vita sono il frutto della ricerca, a volte ossessiva, a volte inconsapevole, di una felicità costantemente rincorsa.
Mi capita di vedere persone che non vivono una vita di senso, ma si lasciano vivere in una costante ricerca, giorno dopo giorno, di qualche cosa che li faccia stare bene, che li faccia sentire realizzati.
Una vita carica di senso
Una vita carica di senso dipende da ognuno di noi, dalle priorità, dai valori, dalle scelte che compiamo ogni giorno e da quelle che a volte lasciamo prendano gli altri per noi.
- Cosa manca in tutto ciò per vivere serenamente?
In questi ultimi mesi la domanda ha continuato a ripropormisi: quei pensieri che balenano in un attimo, poi sfuggono, infine ritornano.
Mentre leggevo i libri che mi hanno scelta (si, ho veramente affermato che i libri mi scelgono al momento giusto!) si faceva strada in me un unico solo pensiero.
Dare senso alla nostra vita è fattibile. E’ fattibile attraverso un obiettivo, il nostro, che ci accompagna e che rappresenta il nostro faro nella notte. Il motivo per cui continuiamo ad andare avanti, alla ricerca, allo sviluppo, al compimento.
Dai tre libri che mi hanno scelta in quest’ultimo periodo emerge in modo forte che, proprio grazie ad un loro obiettivo, i protagonisti sono riusciti a dare senso alla vita che, imprevedibile, si è srotolata nelle loro esistenze.
Due di essi presentano una matrice comune: sono il racconto di due persone deportate ad Auschwitz, il terzo invece è la narrazione dell’autrice in merito al suo lavoro nell’ambito delle cure palliative e di assistenza ai malati terminali.
Il primo dei tre, è “Volontario ad Auschwitz”, scritto da Jack Fairweather, giornalista e reporter di guerra che, con grande maestria, ha ricostruito la vita dello sconosciuto eroe polacco Witold Pilecki.
Questo padre di famiglia, membro della resistenza polacca all’avanzata nazista, si offrì nel 1940 come volontario per farsi catturare dalle SS. Obiettivo era entrare nel lager e raccogliere il maggior numero di informazioni possibili da diffondere nel mondo, tenuto in quel periodo storico all’oscuro su tutto ciò che accadeva all’interno dei campi di sterminio.
Una frase scritta nelle riflessioni/dispacci di Pilecki mi ha colpita profondamente:
“Ho ascoltato le confessioni di molti amici in punto di morte. Reagivano tutti nello stesso modo inaspettato: rimpiangevano di non aver dato abbastanza agli altri – abbastanza amore, abbastanza verità… l’unica cosa che resta su questa Terra dopo il trapasso, l’unica cosa che è davvero positiva e di valore è ciò che hanno saputo dare agli altri” [cit. dal libro pag. 317]
- Perché questa frase, letta nelle oltre 300 pagine del libro, mi ha catturata?
Perché in realtà si collegava al libro che avevo appena terminato di leggere, scritto da Bronnie Ware “Vorrei averlo fatto. I cinque rimpianti più grandi”.
Scrittrice e musicista australiana, Bronnie Ware ha raccolto, dapprima in un blog e poi nel suo libro, le riflessioni di numerosi suoi assistiti nel periodo in cui li ha assistiti ed accompagnati al momento del trapasso. Non anticipo qui i cinque rimpianti che accomunano i più: è un libro che merita di essere letto in ogni sua pagina, così come meritano di essere amati i protagonisti delle storie nella loro umana unicità ed imperfezione.
Il cambiamento verso un obiettivo
Un sentire comune però li avvicina: non aver raccolto tutte le proprie forze per attuare un cambiamento verso un obiettivo di vita, di valore.
“Ci vuole forza per fare grandi cambiamenti. Tuttavia, quanto più a lungo stai nell’ambiente sbagliato e resti un suo prodotto, tanto più a lungo neghi a te stesso l’opportunità di conoscere la vera felicità e la soddisfazione. La vita è troppo breve per guardarla passare, bloccati da una paura che può essere affrontata e vinta” [cit. dal libro pag. 268]
Allo stesso modo, Viktor Emil Frankl nel suo “Uno psicologo nei lager” spiega ed esamina, da prigioniero n. 119.104 (questo era il suo numero di identificazione), le diverse fasi emotive e psicologiche che assieme a tanti altri ha affrontato nei campi di sterminio. Emerge che
“Quasi tutti avevano qualcosa che li sorreggeva: un pezzo di futuro” [cit. dal libro pag. 125].
Nel futuro vi sta la realizzazione di un obiettivo, per il quale ogni persona deve iniziare a lavorare nel presente, nel qui ed ora.
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